martedì 21 agosto 2012

Stagione Murata



L'estate avanza sempre più calda, ricolma di spettacoli di intrattenimento e distrazione, un’estate che ricorderemo anche come la stagione delle dismissioni temporanee.
Dismissioni furbe e inutili che allietano il cittadino e accendono la speranza per questi spazi visibili invisibili che non aiutano nessuno.
Non vogliamo sputare su tutto ma perché dovremmo sentirci felici e appagati?
Il nostro fastidioso problema non riguarda soprattutto il mare, la vita e l'anima di un paese che non c'è più?
Dietro a lunghi discorsi e articoli sognanti chiediamo, come sempre, quando arriverà il momento per le cose serie,se vale più la felicità nel bersi una biretta sotto un tetto del 1860 o la tristezza per tutte quelle persone dimenticate dietro a un muro.
Non per pessimismo, semplicemente per priorità.
Priorità che in molti fanno fatica a scorgere, priorità ricolme di responsabilità e impegni da cui tutti scappano a gambe levate.
Intanto nel paese il silenzio regna sovrano, tra autobus in ritardo e file di speranzosi vacanzieri che ammirano Radar a tavoletta e navi con l'erbino.

Artsenal è un successo un risveglio della cultura cittadina, dicono.
Una cultura che però non riesce a capire che questo muro distrugge qualsiasi cosa, dall'identità dei paesi alle  generazioni che scappano altrove.
Questo è un problema serio.
Serio come le condizioni del nostro ospedale che tra una toppa e l'altra incute la solita tremenda tristezza al malato che vi passa, mentre laggiù ne esiste un altro intoccabile, quindi,  perché dobbiamo sentirci onorati se riceviamo  edifici vuoti e  inutili quando potremmo davvero usufruire di edifici già funzionali?

Qui delude un pò il comune, che nella storia ha sempre dovuto  rincorrere la  Marina, dalla costruzione dell'assetto urbano per  necessità dell'arsenale alle conseguenze attuali che tutti sappiamo.
I Murati Vivi non sognano la cortina di ferro tra istituzioni e Marina, bensì chiedono più sensibilità sull'argomento e  determinazione nel tutelare la salute del cittadino e l'identità del territorio.
La consapevolezza di porre un problema con una soluzione lontana non elimina obblighi e priorità sulle problematiche attuali che mangiano, lentamente , gli indigeni all'ombra del muro.

sabato 4 agosto 2012

Egoismo balneare


Il Golfo della Spezia è pervaso dalla presenza militare, "nel bene e nel male" specificò l'uscito ammiraglio dell'alto Tirreno Paoli.
Interessante... Il male sarà Campo in ferro, che magari fosse in ferro, saranno le aree sottratte ai paesi, e con esse il mare, il nostro passato e il nostro futuro. Il tutto condito dal muro e dal filo spinato, dietro il quale si vede lo stato pietoso in cui è ridotta quella parte del nostro territorio.

E il bene? Bisogna pensarci un po'... dovrebbe essere un'attività non inquinante. Mica ovunque si faranno campi in ferro. Infatti, riflettendo, dopo Lerici c'è una curiosa installazione militare: tra due belle insenature si allunga una lingua di terra che prende il nome di Maralunga. Qui, sotto la denominazione di "stabilimento elioterapico", avviene la straordinaria metamorfosi dell'istituzione marinara: non più le colate di cemento, le navi grigie o i rifiuti che siamo abituati a vedere sulla costa di ponente, ma bungalow, ombrelloni, gazebo, sedie a sdraio e tintarella (in vero un po' di cemento c'è anche qui, pare sia un irrinunciabile tocco di classe). Qualunque nome gli si voglia dare, Maralunga oggi è esclusivamente una cosa: lo stabilimento balneare degli ufficiali di marina.
Terreno del Demanio, mensa e servizi a prezzo di costo o quasi: di fatto "paga Pantalone", cioè i cittadini tutti che però non possono accedervi.

Forse, quando un tempo gli stipendi dei militari erano ingenerosamente bassi poteva avere un senso. Come nell'ottica nippo-aziendale dove la paga è minima ma viene passato tutto il resto, comprese vacanze in Italia. O, meglio, in stile sovietico: con lo Stato che dà pochi rubli ma anche vitto, alloggio e ferie in colonia.

Ora, fortunatamente, gli ufficiali hanno stipendi e pensioni che certo possono consentire libere vacanze al mare, in particolare se si rimane in zona. Viene quindi naturale chiedersi se l'esistenza di una simile struttura sia oggi sostenibile, sotto tutti i punti di vista.

Il Golfo della Spezia è già per conformazione avaro di spazi e nel corso della sua storia la costa è diventata sempre meno accessibile agli abitanti, la Marina Militare ha per prima monopolizzato il territorio lasciando ben poco, specialmente sul mare.
Doveva servire per "difendere la Patria" non per ritagliarsi un bagno riservato tra un'area in disuso e l'altra. Questione di proporzioni, di equilibri: se di militare ci fosse solo Maralunga, nessuno se ne accorgerebbe, sarebbe un bagno tra i tanti. Ma nel quadro generale del nostro Golfo, con mille aree proibite proprio perché militari, non può esserci spazio anche per aree mìlitar-balneari.

Allo stato attuale, Maralunga è l'elemento più surreale della scollatura tra la marina e la popolazione: la stessa mano nega l'accesso al mare a interi paesi ma trova modo e mezzi per crearsi uno stabilimento balneare per il proprio svago.

Com'è possibile? Al di là del muro la prospettiva è diversa? È facile accettare questa impostazione? Per pochi "elioterapia", per tutti gli altri "muroterapia"?
Sarebbe vergognoso.
Ma ci sono modi per fugare ogni dubbio che possono precedere una doverosa quanto coscienziosa restituzione dell'area: che Maralunga venga aperta agli abitanti del Golfo, come misura compensativa fino a quando le aree fondamentali per il futuro del territorio non saranno restituite e liberamente fruibili.
Può essere fatto domani. Sarebbe un gesto di vera disponibilità al dialogo e di apertura sul problema delle zone militari a mare. Problema per i civili, ovvio, mica per i militari.
Ostacoli di carattere strategico, non dovrebbero essercene... a meno che qualcuno non creda di servire la Patria in costume da bagno.

Diversamente, bisognerà cercare di capire come certe persone possano stendersi al sole, godersi il mare, sapendo di negare contemporaneamente anche il solo toccare la riva a tanti, tantissimi altri.

In passato il ricorso all'elioterapia è stato un tratto tipico delle manie di grandezza, con conseguenti difficoltà di relazione con il prossimo.